Giulia Ciabatti parla di design per il vino

Wine design: come raccontare il vino tra etichette, packaging e idee

Nel mondo del design, la forma è sostanza. Un vino si racconta attraverso la sua etichetta; le immagini sui canali social trasmettono già un'idea del prodotto. La confezione di un oggetto ordinato da un e-commerce è la prima percezione di valore che un brand ci comunica. Ne parliamo con Giulia Ciabatti, packaging specialist e art director di CruStories.

In cosa consiste il tuo lavoro?

Mi occupo di costruire l’immagine di un brand a 360°, a partire dai valori dell’azienda e dai suoi obiettivi strategici in termini di vendite, posizionamento, etc.

L’obiettivo è raccontare una storia unica attraverso una carta, un logo, un visual

Fino a pochi anni fa il valore di un brand non era percepito quanto adesso. Oggi siamo circondati da immagini sempre più professionali e il nostro occhio si è fatto più raffinato. Ci siamo abituati alla bellezza e anche nella GDO ci attraggono i layout esteticamente più accattivanti. 

Come è cambiato il “wine design”?

Abbiamo vissuto una fase priva di fiere e incontri, in cui la presentazione di un vino non passava da distributori, sommelier o ristoratori. Le etichette sono diventate un mezzo ancora più importante per presentarsi. L’emergenza ha accentuato una tendenza già molto intensa; da anni cerchiamo prodotti più studiati, ma al tempo stesso meno “pesanti”.

La sensibilità del consumatore è aumentata molto?

… Ed è destinata a crescere ancora! Il boom delle vendite online cambierà tutti i canali di distribuzione, anche quelli più classici. Si capisce subito se un’etichetta appare antiquata o semplicemente debole rispetto ai nuovi standard a cui siamo abituati. Lo stile contemporaneo è minimal, ma questo non significa certo che sia meno elegante, tutt’altro.

Quali aziende si affidano  a voi per ripensare la propria immagine?

Ci sono tanti brand “storici” che ci chiedono di reinterpretare in chiave moderna la propria brand identity; ma ci sono anche moltissime realtà giovani, che devono sviluppare da zero un’immagine accurata e contemporanea. I primi necessitano di un lavoro di restyling, mentre per i secondi cerchiamo di dedurre ex novo quali aspetti del prodotto o dell’azienda possiamo valorizzare.

Un esempio di wine design: l’etichetta di Colmaia, nuovo vino rosso biologico della Cantina Monti

Restyling e branding: puoi spiegarci meglio la differenza?

I lavori di restyling spesso sono legati a un cambio di target o al fisiologico “invecchiamento” di un brand. Tanti hanno un marchio legato a origini familiari, stemmi o blasoni, ma oggi non sono più sufficienti per attrarre nuovi consumatori. Un restyling particolarmente riuscito è quello fatto per Cultusboni, una linea di vini moderna e di facile beva. Abbiamo cercato di dare loro un’immagine fresca, coerente con il prodotto e il suo target.

Per aziende giovani – o che si trovano davanti a una vera e propria rivoluzione della propria identità – si parla invece di branding. In questi casi bisogna assorbire i valori della realtà che si ha davanti, capire ciò che vuole comunicare e a quale target. In questi casi facciamo spesso una ricerca a livello storico e territoriale della zona in cui l’azienda opera; ma gli spunti migliori vengono confrontandosi con il Cliente.  Due lavori che ci hanno dato davvero soddisfazione sono stati quello per Aquilaia, nuova linea di vini maremmana, e per Il Balzo, una piccola realtà vinicola per cui abbiamo creato un’etichetta davvero inconfondibile!

design ilbalzo etichetta branding packaging

Negli ultimi anni il tema della sostenibilità è diventato centrale per molte aziende...

I consumatori attribuiscono un valore aggiunto importante alla sostenibilità: è giusto che le aziende valorizzino la loro vocazione green. Il carattere biologico o biodinamico dei vini, per esempio, è un criterio di scelta determinante, che può (e deve!) essere raccontato in ogni modo: dal corporate storytelling al packaging design.

Come declinare la personalità di un brand?

Spesso il brief iniziale è fondamentale per capire cosa realmente vuole trasmettere il cliente. Il nostro approccio poi è particolarmente immersivo: per raccontare un’azienda vinicola facciamo un sopralluogo, uno shooting preliminare, studiamo la storia del brand e raccogliamo le testimonianze di chi quotidianamente ci lavora. In alcuni casi facciamo un lavoro di ricerca ancora più approfondito, che può portarci ovunque: per Selvapiana abbiamo recuperato l’atto originale del 1716 che sanciva la nascita della DOC Pomino.

Si parla spesso di visual storytelling; ma l’etichetta ha anche una dimensione tattile…

Sullo schermo anche alle migliori etichette sembra mancare qualcosa; uno dei compiti più impegnativi è proprio nobilitare e rendere unico un progetto anche attraverso gli effetti stampa. Già in fase di progettazione è necessario pensare a questi aspetti: rilievi, effetti braille in lucidatura, lamine etc.

Il neuromarketing dimostra come il tatto sia determinante nell’accostarsi a un prodotto: quando prendi in mano una bottiglia e la accarezzi deve trasmettere una sensazione. In una linea di vini cerchiamo di dare una percezione diversa a ogni prodotto, scegliendo effetti diversi a seconda della qualità e del carattere delle singole bottiglie.

Ci hai raccontato il processo creativo come un percorso semplice, quasi naturale; eppure, ci sarà qualche aspetto più complicato…

Altroché! Una delle sfide più difficili in fase di progettazione è mettere da parte il gusto personale per assecondare le richieste e il carattere del cliente. Nel nostro portfolio ci sono dei lavori veramente eterogenei che variano per stile, tecniche e materiali utilizzati, forme e dimensioni: alcuni sono più contemporanei, altri hanno canoni estetici più classici.

Lavoriamo sempre su storie particolari; difficilmente ci sono progetti simili tra loro

Eppure, sembra che il nostro modo di raccontarli segua un filo conduttore; una sorta di firma invisibile che rende affini tra loro i lavori più disparati. È bellissimo vedere le idee prendere vita e poi lasciarle andare, sapendo che c’è un metodo comune tra cose tanto diverse tra loro!