La scelta del nome è forse la più complessa che si ha davanti quando dobbiamo lanciare un prodotto: il nome determina la capacità del vino di essere notato, ricordato, discusso. Questa riflessione deve seguire una strategia più ampia, considerando il pubblico di riferimento (. nazionale o internazionale?), i canali di distribuzione (Grande Distribuzione o enoteche?), le occasioni in cui il prodotto verrà consumato: se il target individuato è un pubblico giovane e consapevole, ci si potrà discostare dalla classicità e andare verso un naming e un’estetica più contemporanee; se si guarda soprattutto a un pubblico alto spendente, che consuma il vino in enoteche e ristoranti stellati, in linea di massima sarà opportuno percorrere strade più classiche. A riguardo, va detto che la situazione sta cambiando in maniera estremamente rapida; quelle che un tempo erano regole non scritte oggi sono scelte che richiedono analisi molto più ponderate
Nome del vino, visual identity e caratteristiche visive, olfattive e gustative devono quindi andare di pari passo: se il nome del vino è collegato a un territorio o a una sfera sensoriale, si crea un’aspettativa che deve essere coerente con l’esperienza di chi lo andrà a bere.

Il naming di una bottiglia di vino: alcune regole fondamentali
Scegliere il nome di un vino è quindi un lavoro complesso, che accanto alla creatività richiede anche la conoscenza di alcune regole basilari. Il vino deve avere un nome semplice e memorizzabile: meglio evitare nomi complessi, che ne rendono difficoltosa anche la ricerca online oltre ad essere spesso difficili da pronunciare e memorizzare in lingue straniere; lo stesso per i termini inglesi, che potrebbero sottrarre tutta l’autorevolezza che la viticoltura Made in Italy si porta con sé.
Naturalmente la coerenza è un altro elemento indispensabile: ideare un nuovo vino di una prestigiosa casa produttrice impone di conoscerne la storia, le linee esistenti e l’evoluzione della brand identity; il naming di un vino DOC o DOCG dovrà tenere conto del disciplinare, delle peculiarità che la rendono celebre, dei vitigni che la caratterizzano. In sintesi potremmo dire che il naming di un vino rappresenta sempre il tone of voice dell’azienda, una parola chiave del suo “vocabolario ideale”.
Il nome del vino e la creazione di un immaginario: il caso Donna Fugata
Il nome del vino contribuisce alla creazione di un immaginario coerente con il brand e la sua narrazione, come dimostrano i vini di Donna Fugata. L’azienda siciliana nasce nel 1983 a Palma di Montechiaro, che aveva ispirato l’immaginario paese di Donna Fugata del Gattopardo. Oltre a un memorabile omaggio al capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, il nome dell’azienda diventa anche l’occasione per raccontare la storia della sua fondatrice Gabriella Anca Rallo, “fuggita” dal suo passato di docente per dedicarsi al mondo del vino. Ecco che alcuni nomi dei vini di Donna Fugata, a partire da queste due suggestioni, contribuiscono a creare uno storytelling che parla di libertà, pace, calore.
La fuga (Contessa Entellina DOC) recupera la storia di Gabriella Anca Rallo e la valorizza anche attraverso un’etichetta semplice ma indimenticabile: l’illustrazione di Stefano Vitale trasforma i capelli della donna in linee sinuose e dinamiche, capaci di evocare al tempo stesso le onde del mare e le dolci colline siciliane.
Passiperduti (Grillo DOC) è un nome che racconta invece “la serenità che proviamo quando contempliamo la natura“. Passiperduti è un vino poetico ed elegante capace di evocare alcuni dei versi più rappresentativi della letteratura italiana: «L’infinito» di Giacomo Leopardi.”






Il naming di un vino: quando la bottiglia dialoga con la vigna e il territorio
Evocare l’area di provenienza è sicuramente una delle tecniche di naming più diffuse: accanto all’eventuale Denominazione – obbligatoria e utilissima a conferire autorevolezza a un vino – spesso il nome del vino porta con sé anche le caratteristiche morfologiche di un determinato terroir, la storia di una zona o i retaggi del suo passato.
Il Sangioveto di Badia a Coltibuono racconta fin dal nome il vitigno che lo costituisce e la tradizione culturale da cui lo eredita: “San Zoveto”, poi “Sangioveto”, era il nome popolarmente utilizzato per il Sangiovese. Attribuirlo a un nuovo vino biologico, peraltro prodotto solo nelle annate migliori, significa presentarsi come ideali prosecutori di una civiltà contadina attenta alla terra e ai suoi prodotti, ribadendo un indissolubile legame con il territorio.
Il Bolgheri Sassicaia, primo vigneto cabernet in piena macchia mediterranea, nasce quando, negli anni 40, il Marchese della Rocchetta importa vitigni e metodologie francesi nella zona di Castagneto Carducci. Il terreno sassoso su cui nasce – una Sassicaia, appunto – battezza quindi la prima DOC italiana dedicata a una specifica cantina, destinata a entrare nell’immaginario collettivo. Grazie al Sassicaia e ad altri prestigiosi vini toscani (Ornellaia, Solaia, Brancaia), il suffisso – aia diventa sinonimo di qualità, tanto che oggi molte neonate aziende lo scelgono per associarsi idealmente ai prodotti top di gamma e aumentare il valore percepito del loro vino.






Irriverenza e marketing: tre nomi di vino indimenticabili
Proprio come il packaging, il naming può essere determinante nel successo di un vino; ricordiamoci però che la celebre frase di Tony Spawton “L’etichetta vende la prima bottiglia, il produttore vende le seguenti” può essere applicata anche al nome di un vino. Insomma, trovare il modo per distinguersi in un mercato vastissimo è una condizione necessaria ma non sufficiente al successo di un marchio.
Vi proponiamo ora tre case study “irriverenti” che hanno come elemento in comune la qualità: una condizione imprescindibile perché anche il marketing sia un investimento intelligente e non un giocattolo costoso e improduttivo.
Il Soffocone di Bibi Graetz
L’azienda vitivinicola Bibi Graetz è tra le più rinomate case produttrici dell’hinterland fiorentino: sulle dolci colline tra Fiesole e Vincigliata, Bibi Graetz produce dal 2000 vini conosciuti e apprezzati dal grande pubblico come dagli addetti ai lavori.
Per emergere nell’affollato panorama vinicolo toscano, Graetz decise di dare al suo vino rosso biologico un nome davvero disruptive: Soffocone (nome completo: Toscana IGT Soffocone di Vincigliata Bibi Graetz). Un nome che evoca l’atto della fellatio e i giochi d’amore che le coppie fiorentine sono solite fare appartandosi sulle colline che circondano la città, non lontani dal Castello di Vincigliata e dalle vigne dove Graetz coltiva il suo Sangiovese. La scelta del nome si è rivelata un’eccezionale mossa di marketing, determinante nel far conoscere il vino a un pubblico giovane e curioso, pronto a sorridere davanti all’evocativa etichetta dell’illustrazione.
Fat Bastard: un vino nato da una sbornia tra amici
Questo vino nasce quasi per caso nel 1998, da una scommessa tra il viticoltore francese Thierry Boudinaud e l’importatore di vini britannico Guy Anderson. Dopo aver assaggiato insieme numerosi vini il giorno precedente, i due amici decidono di assaggiare un vino su cui stava sperimentando una particolare fermentazione: alla degustazione seguì un silenzio di minuti, interrotto dalla contemporanea risata dei due e dal memorabile epiteto “Fat Bastard” rivolto al viticoltore francese. Da qui il nome del vino e una visual identity nata per accentuare – e allo stesso tempo smorzare con eleganza – quel nome così provocatorio.
19 Crimes: quando il crimine ispira il naming di una bottiglia di vino
19 Crimes è un produttore vinicolo che è diventato con il tempo un vero case study nel mondo del vino. Il mercato statunitense, storicamente poco incline verso le produzioni Aussie, ha risposto con un entusiasmo strepitoso al lancio di questo vino.
Il nome recupera la storia dell’Australia come colonia penale della Gran Bretagna: diciannove è il numero dei reati che prevedeva il confino e i lavori forzati all’altro capo del mondo. Anche le etichette sono coerenti con la storia: ricalcano infatti foto segnaletiche di inizio Novecento, raffigurando detenuti tristi, arrabbiati o comunque in una condizione di infelicità che nessuno vorrebbe associare al proprio brand.
Questo paradosso è alla base dello storytelling di 19 Crimes e del suo successo, figlio di una precisa strategia di marketing: come racconta Wine Economist, “19 Crimes sembra essere stato progettato in modo preciso per fare appello a un importante gruppo demografico: uomini millennial, in particolare quelli che si considerano un po’ canaglia. Fuorilegge, che si identificano con chi sfida le convenzioni”. Autenticità, studio del target e capacità di infrangere le regole si mescolano perfettamente, in un blend che ha dimostrato un successo davvero inaspettato.









Dalla storia allo storytelling: il naming diventa un racconto
La storia può diventare un eccezionale elemento di narrazione per differenziarsi dai competitor. Alcuni vini riprendono nel nome un evento accaduto che rafforza il legame con il territorio e crea una storia suggestiva che renderà più memorabile il vino – e più piacevole il suo consumo, quando se ne racconterà l’origine agli incuriositi commensali. Ad esempio, il Bolgheri Rosso “Il Bruciato” (Antinori”) deve il suo nome a un incendio avvenuto nel 1700 proprio nella zona di Bosco al Tasso: in risposta al divieto di praticare la caccia stabilito dai signori di Bolgheri, i conti Della Gherardesca, i contadini della zona decisero di dare fuoco al bosco. Una storia tanto suggestiva da essere rimasta nella memoria collettiva, fino a venire sublimata dal geniale marketing di Antinori.






Un altro caso è il vino Addiaccio, prodotto da Podere il Balzo (Rufina, Firenze). Dopo una violenta grandinata che aveva devastato parte della vigna più isolata, il viticoltore Paolo Ponticelli decide di aspettare prima di gettare l’uva. Nei giorni successivi i chicchi, esposti al sole dei giorni successivi, sembrano piccoli reduci di una guerra persa contro i temporali estivi; in botte, come racconta Ponticelli, “avviene il miracolo: il mosto si colora in modo spettacolare ed emana profumi di cioccolato caffè e spezie.
Un riposo di un anno e mezzo restituisce un vino fuori dalle righe, di matrice prettamente artigianale, genuino e schietto”. Il nome del vino allude proprio al periodo in cui i chicchi sono stati all’addiaccio, ovvero alle intemperie e agli sbalzi climatici. Un potenziale disastro, che Podere Il Balzo ha saputo trasformare in una grande opportunità.
Gli eventi passati e la storia possono dare spunti anche per il naming di un’intera linea di prodotti: è il caso di Tenuta Aquilaia, azienda maremmana che si riallaccia addirittura alla storia etrusca e alla millenaria vocazione vitivinicola del territorio. Il miglior presagio che i sacerdoti incaricati di predire il futuro – gli auspici – potevano scorgere era la vista di un’aquila all’orizzonte. Per questa ragione la linea di uve autoctone prende il nome di Auspici: uno straordinario veicolo di storytelling che ribadisce un legame tra territorio, storia e marchio immediatamente comprensibile dal consumatore.






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