Poche settimane fa siamo andati alla scoperta del vino biodinamico con Adriano Zago, agronomo e formatore per Cambium Formazione. L’approccio biodinamico parte dal valorizzare il territorio e propone un profondo e innovativo metodo di gestione dell’intera azienda agricola: una rivoluzione che, al giorno d’oggi, passa necessariamente anche dalla comunicazione. Ne abbiamo parlato con Antonio Boco, che nel Master Biodinamica per il Vino (in programma dal 26 aprile al 1°maggio 2021) illustrerà proprio come comunicare il vino e valorizzare al massimo le aziende agricole biodinamiche.

Come è cambiato il modo di comunicare il vino negli anni?
Da quando ho iniziato ad appassionarmi al vino, è cambiato quasi tutto. Oggi la comunicazione viaggia su più livelli, in alcuni casi poco definiti nei contorni e confusi nei tratti. Certamente il moltiplicarsi dei mezzi e delle fonti ha portato coralità, anche se la maggior democrazia a volte sfocia nel chiacchiericcio.
In particolare come è cambiato l’approccio di chi degusta e racconta il vino nei confronti dei vini biodinamici?
Da oggetto misterioso, la biodinamica sta piano piano diventando una disciplina più definita e chiara, dunque riconosciuta e riconoscibile. Ovvio che questo percorso di crescita, specie nella consapevolezza, ha determinato un’evoluzione anche nell’approccio di chi assaggia e comunica il vino. A mio parere la grande conquista è la definitiva caduta di ogni pregiudizio: al bicchiere l’ultima parola, senza preclusioni né sconti.
Esistono dei parametri di valutazione diversa che applicate nell’assaggio dei vini naturali e biodinamici?
Sarebbe ingiusto. I vini biodinamici migliori hanno un quid di personalità in più ed emergono con chiarezza: non hanno certo bisogno di griglie interpretative ad hoc o percorsi esclusivi. Anche perché questi vini hanno imposto, ormai da diversi anni, importanti riflessioni che hanno cambiato e stanno cambiando molte regole. Mi piace pensare che il mondo del vino sia solo uno, con tante anime al suo interno; le griglie di appartenenza aiutano a comprendere ma devono anche essere superate, in certi casi.
Tutti possono parlare di vino? Sì, a patto di farlo in maniera rigorosa, onesta e trasparente.
Cosa conta di più nel comunicare il vino e perché?
Ognuno ha il suo approccio al vino e la sua sensibilità, da quando è nato questo particolare “genere letterario” (se così possiamo chiamarlo). Per quanto mi riguarda, credo di essere un narratore laico, che cerca di dare il giusto peso ad ogni aspetto. Certo, in alcuni casi le persone hanno un carisma incredibile e non possono che rubare la scena; per fortuna siamo pieni di vignaioli che meritano di essere conosciuti e che rendono entusiasmante il nostro lavoro. In cima a tutto deve rimanere sempre il vino, con la sua qualità e la sua personalità; altrimenti il resto perde molto del suo significato.
E personalmente quale caratteristica reputi più importante?
Senza dubbio, valorizzare il vino significa esaltare le caratteristiche del territorio; credo che i grandi vini siano l’espressione più pura e diretta del luogo in cui nascono. L’approccio biodinamico può valorizzare ulteriormente la vocazione vitivinicola di una zona, anche sviluppando una nuova narrazione: Castello del Trebbio, che ospiterà il nostro Master, ne è una lampante dimostrazione.



La biodinamica viene valutata in modo simile secondo te dalla stampa e dai comunicatori degli altri Paesi?
Oggi credo di sì, in passato un po’ meno. Più che differenze tra paesi vedo diversi approcci, a seconda dei media e delle diverse testate. Mi è sempre piaciuto il modo autorevole, laico e attento utilizzato dalla Revue du Vin de France; la guida verde e la rivista omonima sono tra i miei riferimenti.
Siamo in un’era di transizione in cui la narrazione del vino ha bisogno di evolvere e ripensare sé stessa.
Degustazioni a distanza, nuove modalità, niente fiere… questo è stato il 2020. Cosa tenere e cosa buttare di un anno davvero complicato per chi produce vino?
Terrei questa capacità aumentata nel dialogare a distanza. Riunioni, meeting e persino assaggi sono possibili anche senza incontrarsi fisicamente, almeno in certe occasioni. Poi c’è una maggiore confidenza con gli acquisti on line e i delivery (di cibo ma anche di vino), che mi auguro possano avere un futuro e nuovi sviluppi. Per il resto, direi che è stato semplicemente un pessimo anno.
Cosa condividerai durante il Master con i corsisti/produttori? Cosa dovrebbero fare le aziende per comunicare meglio il proprio vino?
Cercherò di dare una mia lettura della comunicazione del vino e della sua evoluzione. Per tutti i tecnici le modalità di dialogo col mondo esterno non sono facilissime, e anche quelle interne spesso sono sottovalutate. C’è molto da dire anche se ognuno può e deve trovare la sua strada: le regole uguali per tutti sono inevitabilmente sbagliate per molti.
Quali elementi vedi fondamentali nel futuro della comunicazione del vino?
Vedo una comunicazione sempre più autentica e personale. Inutile fingere o imparare la favoletta da raccontare. Prima di avere risposte bisogna farsi delle domande, capire chi si è e cosa si vuole. In generale, un po’ più di spontaneità non guasterebbe.