La classifica redatta da Wine Spectator parla chiaro: dei 100 migliori vini del mondo, 23 sono italiani. Un risultato che premia la nostra tradizione vitivinicola, a partire dalle aziende che meglio hanno saputo valorizzare il proprio territorio. Al ventesimo posto troviamo il Chianti Classico 2018 di Badia a Coltibuono, un vino profondamente legato al suo territorio d’origine ma anche rappresentativo dei mutamenti che l’intera filiera vinicola sta vivendo. A partire da questa riflessione abbiamo voluto intervistare il viticoltore Roberto Stucchi Prinetti, anima di Badia a Coltibuono e Presidente del Biodistretto del Chianti.
Come siete arrivati a questo riconoscimento?
Abbiamo sempre considerato il Chianti Classico Annata come il nostro vino più importante: rappresenta alcuni dei nostri vigneti storici e riassume tutte le scelte che abbiamo portato avanti negli ultimi 40 anni: dalla scelta del biologico alla valorizzazione della biodiversità. Un lavoro che include la cura dell’inerbimento dei filari, la valorizzazione della biodiversità anche nei boschi nonché intorno ai vigneti, la selezione massale per la riproduzione delle piante, l’utilizzo di vitigni autoctoni come ciliegiolo, canaiolo e colorino. Questo premio è un riconoscimento alla nostra azienda, ma anche a tutta la Denominazione: il Chianti Classico Annata è il vino che più di tutti rappresenta il nostro territorio. Il fatto che la “base” della nostra piramide ottenga così tanti riconoscimenti non è scontato; è un premio che “viene da lontano”. Penso alla scelta di investire sul biologico nel 1994, ma anche al lavoro di restyling dell’etichetta, necessario a rendere più contemporanea l’immagine e a ribadire il rapporto tra il Chianti, l’abbazia e il nostro vino.
Un risultato che è un traguardo… o un punto di partenza?
Sicuramente è un riconoscimento estremamente importante, anche se qualcuno ci ha punzecchiato: «Siete arrivati solo ventesimi?» (ride). Scherzi a parte, è la conferma che stiamo andando nella giusta direzione, anche se in viticoltura non si arriva mai a un traguardo definitivo. Non smettiamo di sperimentare e imparare come fare vini sempre più sani, attenti alla cultura del territorio e sostenibili.

L’attenzione all’ambiente è uno dei temi più attuali: come lo state affrontando?
Potrei risponderti che ci siamo già mossi da tempo: il tema è attuale, ma la riflessione imposta dal riscaldamento globale investe il mondo del vino da parecchi anni: temperature e zone climatiche sono cambiate da tempo. La sfida oggi è evitare vini troppo maturi e “poco chiantigiani”. Sicuramente, venti anni di pratiche biologiche hanno reso le nostre piante più resistenti anche a condizioni climatiche anomale e a fenomeni meteorologici più imprevedibili rispetto a prima.
Pubblico ed esperti sembrano aver “riscoperto” il Chianti Classico, elevandolo a vino contemporaneo per eccellenza? Come mai, secondo te?
Da sempre il Chianti Classico si caratterizza per bevibilità, freschezza, gioiosità: un vino versatile, quasi universale, capace di sposarsi bene anche con cucine diverse dalla nostra. Anche il suo rapporto con il cibo è metafora della sua contemporaneità: non si impone con rigidità, ma sembra cercare un rapporto paritario più che una gerarchia. Il successo del nostro vino nasce anche da questo approccio, ora più apprezzato a livello di gusto e di mentalità rispetto alla potenza esibita da alcuni Supertuscan barricati.
Un Chianti Classico accessibile come Badia a Coltibuono si trova in classifica accanto a prodotti con tirature e strategie di pricing ben diverse: cosa significa?
Impossibile trarre una riflessione chiara: il mondo del vino è estremamente complesso e ci sono numerosi fattori da considerare. Alcuni “vini icona” hanno prezzi altissimi, dettati non solo dalla loro (indiscutibile) qualità; altri provengono da zone esclusive o intercettano meglio le aspettative in determinati periodi. Il Chianti Classico è una realtà con vini ricercati e dal prezzo molto elevato, ma vanta anche un’eccellenza nel quotidiano, che è forse il tratto distintivo di tutta la Denominazione. Non mi viene in mente un vino con una forza simile.



Come si sta evolvendo il territorio del Chianti?
Il Chianti Classico oggi si caratterizza per una crescita eccezionale delle coltivazioni biologiche, che ormai hanno superato il 50% della produzione. L’attività del Biodistretto del Chianti vuole accentuare questa attenzione valorizzando il territorio e potenziando il rapporto tra storia, enogastronomia e patrimonio naturale. Il vino ha già contribuito in maniera determinante alla crescita del territorio, restituendo un significato a tutta l’area dopo l’abbandono degli anni Cinquanta. Ora possiamo immaginare nuove reti con fattorie, aziende, associazioni del territorio ed enti locali.
Quanto è importante per voi andare “oltre la vigna” ?
È fondamentale: da decenni Badia a Coltibuono si è sviluppata seguendo vari filoni paralleli: la produzione vinicola e di olio extravergine, ma anche il recupero dell’abbazia e la gestione dei 700 ettari di bosco. L’abbazia è diventata una struttura ricettiva eccezionale, di fatto il simbolo stesso dell’azienda; la cura del bosco è altrettanto importante per mantenere la biodiversità del nostro territorio e valorizzare tutto l’ecosistema Coltibuono.
La cura del territorio è la chiave di volta per il successo di Badia a Coltibuono. Può esserlo anche per tutto il Chianti?
Può e deve esserlo. Dobbiamo recuperare le potenzialità del territorio, a cominciare dalla sua vocazione agricola: pensa che il solo Comune di Gaiole poteva vantare 30 mulini e una produzione di cereali ora inimmaginabile! Tante piccole aziende del Biodistretto del Chianti stanno già sviluppando progetti pilota estremamente differenziati: dai laboratori di erbe aromatiche all’apicoltura, dal recupero di terreni abbandonati alla cura delle superfici boschive. Il nostro territorio non si presta all’agricoltura estensiva esplosa negli ultimi decenni: le pratiche più moderne sono quelle più attente al territorio, e qui avrebbero davvero enormi possibilità di affermarsi. Molti obiettivi sono difficilmente raggiungibili – soprattutto economicamente – dalle realtà più piccole: penso al compostaggio, alle filiere di trasformazione, alle attrezzature più innovative. È necessario iniziare a pensare in termini di rete, per lavorare a 360 gradi sulle potenzialità del territorio. In termini qualitativi ed economici , ne beneficerebbero tutti: l’aumento della biodiversità e la qualità della filiera corta interessano il grande produttore come il ristorante, l’agriturismo come il piccolo viticoltore.
Come è cambiato il consumatore di vino in questi ultimi anni?
Esattamente come per i vini, non c’è un solo tipo di consumatore. Nel nostro lavoro, comunicare significa anzitutto cercare la “tribù” che più delle altre può apprezzare il prodotto. Sicuramente, ci fa piacere notare che c’è una fascia di consumatori giovani molto sensibile ai temi che a noi sono cari. Fino a qualche anno fa vedevamo alle degustazioni un pubblico più maturo, ora vediamo tanti under 35 già molto consapevoli: consumatori che premiano le scelte etiche, le coltivazioni sostenibili, l’accessibilità abbinata alla cura del territorio. L’impegno di tanti produttori biologici e la sensibilità di queste nuove fasce di pubblico sono due facce della stessa medaglia: un amore che non abbraccia solo il vino, ma anche le zone dove lo si coltiva.